Ho toccato un inferno chiamato: “IN VITRO”
TESTIMONIANZA DI ADAM
Il concetto di “in vitro”, una volta spogliato di tante belle parole promozionali, si scopre essere solo ed esclusivamente una linea di produzione. Io oggi, grazie al metodo “in vitro”, sono un padre felice, ma il mio rapporto con la moglie si è notevolmente raffreddato. Il mio matrimonio è cambiato! Ormai, io e lei, non ci vediamo nemmeno tutti i giorni, anche se viviamo insieme. Con il senno di poi, vedo che tutte e due siamo passati per l’inferno chiamato “in vitro”. L’interesse verso questo tema è nato dal fatto, come penso, del caso di tante altre coppie che non riuscivano ad avere un figlio. Dopo cinque anni che eravamo sposati, questo problema emergeva con molta insistenza e ci inquietava. Quindi ci siamo sottoposti, come sicuramente tante altre coppie, a cure ed esami che erano una vera tortura, per scoprire le cause della nostra sterilità e alla fine ci siamo decisi per l’ “in vitro”. Oggi, so che non ripeterei più questa esperienza, anche se ho un bellissimo figlio grazie a tale metodo.
Addio complicità, mistero. Tutte e due volevamo dei figli fin dal principio della nostra vita coniugale. Specialmente mia moglie. Io, nei primi anni del matrimonio ero molto impegnato nella vita professionale, non mi ponevo tanto il problema dei figli che non arrivavano. Mia moglie ha cominciato a preoccuparsi per prima. Ma di per sé questa circostanza non danneggiava la nostra vita di coppia. Perché, secondo me finché non si oltrepassa il confine degli esami medici necessari per l’ “in vitro”, il problema legato alla sterilità non causa una rottura del rapporto in una coppia che si ama. Solo le difficoltà che sorgono come conseguenze dell’essere passati per le tappe del metodo “in vitro”, esse sì che minacciano direttamente il matrimonio.
Le procedure da rispettare in alcune fasi del processo sono molto complesse e sgradevoli per la coppia. Tutto toglie così drasticamente ogni mistero del concepimento del bambino, che una volta finito il percorso mi sono reso conto di come qualcosa era finito, morto tra di noi. Dostojewski aveva ragione dicendo che per avere positive relazioni umane, e non solo in famiglia, c’è bisogno di tre elementi: il mistero, la stima e la speranza. Esaminando a distanza di tempo, il percorso che ho fatto con mia moglie, comincio a pensare: ma che mistero rimane, se lei mi vede aspettare con un raccoglitore di plastica per entrare nella camera chiamata “stanza prelievo”?
Oppure quando io vedo che mia moglie viene in continuazione sottoposta a delle visite nelle sue parti più intime. E la stima? Che stima rimane tra i due se il medico suggerisce anche l’ora nella quale la coppia deve fare l’amore, prescrive l’uso di un determinato tipo di preservativo, per raccogliere il seme per fare gli esami. Che stima rimane quando bisogna “farlo” quasi contando i minuti esatti, perché deve avvenire in questo preciso momento, in questo modo… E infine anche il terzo elemento, la speranza: anche lei evapora, svanisce in qualche maniera.
Penso che le tappe che precedono l’arrivo alla decisione sull’ “in vitro” sono vissute da ogni coppia in un modo molto simile. Il tempo passa; i figli non ci sono. Allora soprattutto la parte femminile della coppia mese per mese comincia ad essere sempre più stressata. I medici poi aggravano ancora ulteriormente tutta la situazione con l’informazioni che la donna entro i trent’anni di età è nel suo periodo più fertile, e quindi bisogna sbrigarsi, bisogna fare qualcosa. E, come tutti sappiamo, c’è ormai un’enorme industria legata ai metodi del concepimento artificiale, ed anche essa, come ogni altro business, necessita di lobbying, per dare il profit. Perché i metodi “in vitro”, spogliati delle belle parole di propaganda, sono proprio questo: una linea di produzione.
Nel caso della mia famiglia, il procedimento è finito con un successo. Abbiamo un figlio. Ma questo successo è avvenuto in un modo completamente tecnico, che ci ha stancato molto entrambi. Penso che Dio ha fatto certi meccanismi tra uomo e donna proprio per dare la misteriosa complicità di creare nell’amore. Perché “farlo” per una prescrizione medica nell’ora indicata, o perfino nel minuto indicato, non ha più niente di questa intimità e spontaneità nello stare insieme. Nelle file che abbiamo fatte aspettando il nostro turno in diverse cliniche, si vedevano parecchie coppie con gli stessi nostri problemi. Una cosa che ci caratterizzava tutti era lo stato d’inquietudine, l’agitazione e una specie di attesa per un miracolo.
Con un contenitore in bagno…
Prima di decidersi per “in vitro” abbiamo pensato di adottare un bambino. Oggi so che le procedure per l’adozione, anche se inizialmente sembrano molto difficili e lunghe, in teoria sono molto meno dolorose, più corte e senza gli effetti collaterali, contrariamente a quello che ha provocato “in vitro” nel mio matrimonio. Per di più, sono cosciente che nella clinica sono rimasti altri embrioni. Solo uno tra i vari è diventato mio figlio, che adesso corre per la casa ed è un bimbo eccezionale. Ma anche tutti gli altri embrioni rimasti non sono diversi in nessuna maniera da quello scelto per diventare mio figlio! È sempre vita! Nel momento in cui io e mia moglie ci siamo decisi per il metodo “in vitro”, non ci rendevamo conto delle conseguenze. Tutto si capisce a suo tempo. Penso poi che per la donna è meno difficile oltrepassare questo genere di situazioni rovinose: vedo mia moglie già tutta indaffarata nella quotidianità, per accudire il bambino. Io invece sono molto turbato, da una parte riconosco che le procedure “in vitro” ti fanno passare un inferno, ma dall’altra amo molto mio figlio. Le relazioni con mia moglie si sono molto raffreddate e capisco perché – torniamo a ricordare il periodo in cui eravamo sottoposti alle procedure “in vitro”.
Mi rendo conto che se fossi io ad osservarmi come l’ha fatto mia moglie… avrei perso tanta stima. Mi ricordo le altre cliniche meno attrezzate, dove non c’era nemmeno la stanza prelievo: mi davano in mano un contenitore di plastica e mi mandavano in bagno. Qualcuno usciva e io entravo… Io uscivo e lei mi aspettava fuori. Ecco. Il commento, qui, è: ritengo che non serva al matrimonio… esso non subisce niente? Se penso a mia moglie e a me stesso in quelle circostanze… è il degrado dell’anima e del cuore. Noi, io e lei, in apparenza siamo insieme, ma tanto tra di noi è cambiato. Il rapporto è sostenuto in qualche modo dal nostro figlio. Ma io e lei non ci vediamo tutti i giorni e si è creata tra di noi una specie d’invisibile barriera.
Bisogna parlare…
Bisogna parlare di questi problemi, bisogna avvertire le coppie! È meglio, molto meglio decidersi per un’adozione! Sono sicuro che sarebbe giusto, nel mio caso, dimenticare ormai la questione e andare avanti. Ma come faccio, sapendo che nella clinica sono ancora rimasti i nostri embrioni? Notate che anche le parole usate non sono adeguate, questi sono degli esseri umani! Non riesco a non pensarci quando i mass-media informano che in Inghilterra hanno gettato via delle cellule umane inseminate, oppure quando ci giungono le notizie che, senza curarsi delle norme, queste cellule vengono sfruttate in vari modi. Usando il metodo “in vitro”, l’uomo nega l’esistenza della speranza, nega l’esistenza di un piano che Dio ha per noi. Usando il metodo “in vitro”, l’uomo distrugge l’armonia del creato. Ma noi davvero possiamo permetterci questo?
GRAZIE di avermi dato la possibilità di fare questa testimonianza.
Adam – l’ospite di un programma trasmesso da Radio Maria in Polonia
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